I Capricci di Belisa.

Cartina dell'Italia

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Capricci di Belisa, I.

Commedia in tre atti e in versi, di Lope de Vega Carpio (1562-1635), pubblicata nel 1617. La capricciosa e svenevole Belisa respinge sistematicamente tutti i suoi pretendenti fino al momento in cui si innamora di Felisardo, in rivalità con la propria madre. Alla fine si accontenterà di uno qualunque dei vecchi innamorati. L'opera risente di una struttura disarmonica, in cui a passi vivacissimi si affiancano scene barocche e mediocri.

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Commedia.

(dal greco: komoidía). Componimento drammatico, in prosa o in versi, di contenuto satirico o morale. Secondo Aristotele la c. ebbe origine dal corifeo dei canti fallici che, inserendo nel coro elementi di parlato, avrebbe originato in questo modo le prime forme di dialogo. Successivamente la c. greca si arricchì di altri elementi quali le maschere, il prologo, gli intrecci, ecc. L'elemento drammatico venne conferito alla c. da un'antica forma di teatro popolare diffusa dovunque nelle regioni greche. Un successivo impulso allo sviluppo della c. si ebbe con l'introduzione di alcuni elementi tecnici forniti dalla tragedia. Nel 488 l'arconte concesse alla c. il coro, iscrivendola con questo atto nel programma delle feste urbane tenute in onore del dio Dionisio. I primi esponenti della c. attica antica furono Chionide e Magnete, attivi attorno al 480 a.C. Successivamente raggiunse grande fama l'ateniese Cratino che, da vecchio, rivaleggiò con Aristofane, il maggiore rappresentante della poesia comica greca. Oltre a questi si ricordano anche i nomi di Eupoli, Frinico e Platone detto il Comico. Le c. attiche antiche erano strutturate secondo uno schema che prevedeva un prologo, nel quale venivano esposti gli antefatti, la parodos, cioè l'ingresso del coro e l'agòn, nel quale il protagonista si batteva per il successo dei suoi progetti. Tutte queste parti erano spesso intervallate da canti del coro. Dopo la caduta della democrazia ateniese in conseguenza della guerra del Peloponneso (404 a.C.) la c. dovette trasformare il suo primitivo carattere di satira politica e adattarsi al nuovo ordine delle cose. Scompare il coro e gli argomenti vengono tratti dalla vita comune. Questo tipo di c., detta "di mezzo", durò circa un cinquantennio (dal 380 al 330 a.C.). I suoi autori più significativi, esponenti di una cultura e di una società più raffinata e più colta, furono Antifane. Eubolo e Timocle. La c. nuova, fiorita successivamente al 330, ebbe come caratteristiche la passione per l'intreccio e per l'elemento amoroso. I suoi autori più significativi, esponenti di una società più colta e più raffinata, furono Difilo, Apollodoro, Posidippo, Filemone e Menandro, senza dubbio il più significativo. In seguito la poesia comica greca attraversò un periodo di decadenza definitiva durante il quale si venne trasformando in un nuovo genere letterario, il mimo. ║ C. latina. Ebbe origine nei fescennino, nelle satire e nelle atellane, cioè in quei primitivi componimenti poetici grossolani e osceni, con i quali i contadini italici solevano festeggiare determinate solennità. Durante queste feste venivano recitate rozze rappresentazioni che dovevano servire a propiziarsi le divinità. Questo primitivo genere di rappresentazione venne in seguito soppiantato da forme più evolute nelle quali il dialogo assumeva un'importanza rilevante e la danza veniva fatta corrispondere al canto e al suono. Questa nuova forma rappresentativa venne detta "satura" e, presso i Romani, durò per oltre un secolo, fino a quando non venne sostituita dalla c. palliata, introdotta a Roma da Livio Andronico. Gli argomenti e le scene di queste rappresentazioni erano di derivazione greca. Altro autore di palliate fu Nevio, del quale restano i titoli di trenta c. e alcuni frammenti. La palliata decadde progressivamente con il venir meno dei modelli greci dai quali traeva ispirazione. Venne in seguito sostituita dalla c. togata, così chiamata perché in essa i personaggi vestivano la toga romana in luogo del pallio greco. Questo genere di c. portava sulla scena usi, costumi e personaggi romani o italici e si distingueva dalla palliata per la maggiore semplicità di struttura e per Il carattere più popolaresco. Fra i maggiori autori di c. togate ricordiamo Titinio, T. Quinzio Atta e L. Afranio. In periodo medioevale la c., intesa come forma di rappresentazione autonoma, venne abbandonata in favore del dramma sacro e delle rappresentazioni comiche (farse). Il nome di c. venne dato a componimenti che, per la minore gravità della materia trattata, si distinguevano dagli altri generi di composizione. Nel XII e XIII sec. venne dato il nome di c. elegiache o epiche ad alcuni componimenti in lingua latina che trattavano argomenti di carattere classicheggiante ed erano spesso tratti dalle c. del periodo romano o greco. Un rifiorire della c. si ebbe nel periodo umanistico, con la riscoperta di numerose commedie di Plauto (1429) e di Terenzio (1432), che determinarono la dissoluzione della c. latina medioevale. Tra gli autori di questo periodo ricordiamo P.P. Vergerio, Leon Battista Alberti e Ugolino Pisani. Ai soggetti tradizionali tratti dalle c. classiche si aggiungevano gli spunti offerti dalle novelle del Boccaccio, dalla narrativa romanza e dai casi dell'esistenza quotidiana. Lo schema rispettava solitamente l'unità di luogo e di tempo, meno quella d'azione. L'introduzione sistematica del "volgare" si ebbe dopo la prima rappresentazione della Mandragola del Machiavelli, avvenuta a Roma nel 1520. Tra i lavori di questo periodo possiamo ricordare le c. di Ludovico Ariosto, la Calandria di B. Dovizi, I due felici rivali di Jacopo Nardi e le cinque c. di Pietro Aretino. Successivamente, gli spunti tratti dalla classicità vengono progressivamente abbandonati in favore di un realismo rappresentativo del quale la c. Il Candelaio di Giordano Bruno rappresenta l'esempio più evidente e più riuscito. La rottura con la tradizione precedente venne portata avanti con forza anche da Angelo Beolco detto il Ruzzante che, attraverso l'uso del dialetto padovano e la scelta di argomenti di carattere popolaresco, si distinse come l'autore che più di ogni altro ebbe la capacità di superare i confini della c. tradizionale e di porre le basi per un autentico rinnovamento del genere. Con lo sviluppo della c. dell'arte, avvenuto a partire dalla seconda metà del XVI sec., la c. si pose decisamente come reazione antiaccademica al di fuori di ogni schema letterario predeterminato. Lungo tutto il XVII sec. la c. letteraria attraversò un periodo di decadenza dal quale si staccarono solamente autori come Francesco Mariani, Carlo Tiberi e G. B. Andreini. La tendenza di questo periodo verificò una netta prevalenza della prosa e una divisione in tre atti piuttosto che in cinque. Venne abbandonato il prologo e scomparvero progressivamente alcune delle figure più sfruttate in precedenza, quali il Pedante e il Capitano. La c. si aprì, tra il XVII sec. e il XVIII, all'influenza spagnola e francese, con particolare riferimento all'opera di Molière, cui si rifece direttamente il senese Girolamo Gigli. La c. ritrovò una sua vitalità con Carlo Goldoni che, prendendo atto dell'ormai avvenuta decadenza della c. dell'arte, seppe far rifluire gli elementi positivi che in questa si potevano ancora rintracciare, in opere nelle quali è possibile cogliere lo spirito del suo tempo e il rinnovamento della forma artistica della c. La difesa della c. dell'arte venne portata avanti dal principale antagonista del Goldoni, Carlo Gozzi, che nelle sue Fiabe mise in scena un mondo popolaresco nel quale le maschere della c. dell'arte avevano la parte principale. La scuola goldoniana trovò numerosi imitatori, tra i quali ricordiamo Francesco Albergati e Giovanni de Gamerra, nei cui lavori prevalse la passione per i "colpi di scena" e per il sensazionalismo rappresentativo. Agli inizi del XIX sec., la c. italiana era dominata dall'influenza goldoniana e da quella del teatro comico francese. Tuttavia la produzione italiana fu estremamente povera di spunti originali e le note più significative vanno rintracciate nel melodramma. Si sviluppò tuttavia una vasta attività delle compagnie che lavoravano principalmente su c. estere, specificamente francesi. Gli autori italiani più significativi di questo periodo sono Riccardo di Castelvecchio, Vincenzo Martini e, per quanto riguarda la produzione comica, Paolo Ferrari. L'avvento del naturalismo e del verismo e il maggiore respiro europeo della cultura italiana degli ultimi anni del XIX sec., non permettono di seguire con linearità gli sviluppi del teatro comico nazionale. I momenti più significativi si ebbero comunque con l'opera di Luigi Pirandello con il quale viene decisamente superato l'impianto della c. tradizionale. Altri autori degni di nota sono Giannino Antona Traversi (Carità mondana, 1906; I martiri del lavoro, 1908), Roberto Bracco, Dario Niccodemi e Gioacchino Forzano. Tra la prima e la seconda guerra mondiale proseguì la tradizione del teatro borghese, nel quale si vennero tuttavia inserendo, sull'esempio di Pirandello, elementi grotteschi e satirici. Le opere più significative della produzione pirandelliana furono: Pensaci, Giacomino! (1916), Liolà (1916), Il berretto a sonagli (1917), Cosi è (se vi pare) (1917), Sei personaggi in cerca d'autore (1921), Enrico IV (1922). Autori più tradizionali e più vicini al gusto del pubblico furono Gherardo Gherardi, Guglielmo Zorzi, Cesare Giulio Viola, Sergio Pugliese. Nel secondo dopoguerra la c. di ambientazione popolare con struttura comica, ha trovato nel nostro paese la miglior espressione artistica nelle opere di genere dialettale e ambientazione napoletana di Eduardo De Filippo.

La commedia greca" di Raffaele Cantarella

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Vega Carpio, Félix Lope de.

Drammaturgo e poeta spagnolo. Di ingegno precocissimo (a 14 anni scrisse la sua prima commedia), ebbe una vita ricca di eventi e sentimentalmente assai movimentata. Nel 1583 partecipò a una spedizione nelle Islas Terceras ed entrò quindi al servizio del marchese de las Navas. Si innamorò di Elena Osorio (chiamata Filis nei suoi versi) iniziando con lei una relazione burrascosa. Quando Elena lo lasciò per un altro, membro della facoltosa famiglia Velázquez, il poeta scrisse e diffuse scritti satirici che gli costarono nel 1588 una condanna a otto anni di esilio. Nello stesso anno egli rapì e sposò un'altra donna, Isabel de Urbina (BeIisa), e subito dopo partecipò come volontario alla spedizione dell'Invincibile Armata. Al ritorno si stabilì per breve tempo a Valencia; passò quindi al servizio del marchese di Malpica a Toledo e poi del duca d'Alba ad Alba de Tormes, dove perdette la moglie e le due figlie (1595). Ottenuta la revoca del provvedimento d'esilio, poté finalmente tornare a Madrid e alla corte (1596). Sposatosi in seconde nozze nel 1598 con Juana de Guardo, intrecciò contemporaneamente una relazione con Micaela de Luján (Lucinda), un'ex attrice, da cui ebbe vari figli. Fu consigliere del marchese de Sarria e dimorò tra Madrid e Toledo prima di stabilirsi definitivamente a Madrid nel 1610, entrando al servizio del duca di Sessa. Al vertice della sua fama come poeta e drammaturgo fu travolto da una profonda crisi religiosa il cui evento scatenante fu la perdita, nel 1612, della moglie Juana, morta di parto dando alla luce Feliciana. Nel 1614 prese gli ordini a Toledo, ma non interruppe comunque la sequenza dei suoi amori: ad Ávila si innamorò di un'attrice, Lucia de Salcedo (la Loca), infine visse la sua ultima grande passione con Marta de Nevares (Amarillis), moglie di un mercante, che nel 1617 gli diede la figlia Antonia Clara. Ammalato dal 1629, Lope de V. ebbe gli ultimi anni della vita amareggiati da dolorosi eventi familiari: nel 1632 la cecità e la morte di Marta, nel 1634 la fuga della figlia Antonia Clara con uno spasimante, la morte del figlio Carlos Félix. Quanto alla sua produzione letteraria, già i suoi contemporanei ne ponevano in rilievo la stupefacente vastità e varietà: secondo Pérez de Montalbán, Lope de V. scrisse 1800 commedie e 480 autos, cifre probabilmente esagerate, tuttavia le 426 commedie e i 42 autos che di lui ci sono pervenuti ne fanno l'autore più prolifico della letteratura spagnola. Le ragioni di tale ingente massa di commedie sono da ricercarsi nel grandissimo favore che il teatro riscuoteva presso il pubblico spagnolo, sia quello aristocratico e di corte sia quello popolare. Alla quantità non sempre corrispose però un altrettanto alto livello qualitativo, tanto che solo pochi lavori teatrali di Lope de V. possono essere considerati compiute espressioni d'arte. Mediatore tra la vena popolaresca di L. de Rueda e di J. de la Cueva da una parte e il Classicismo accademico del contemporaneo teatro spagnolo dall'altra, nelle sue opere migliori Lope de V. realizza un equilibrato amalgama tra elementi popolari ed eruditi, tra ricostruzione storica e invenzione, tra comico e drammatico, tra senso dell'epopea e soggettivismo lirico. Al raggiungimento di tale felice combinazione concorre anche il linguaggio che, pur inevitabilmente appesantito da influenze barocche, possiede caratteri di naturalezza e spontaneità molto lodati dalla critica. Il teatro di Lope de V. fu, dal punto di vista ideologico e politico, sostenitore di valori tradizionalmente ispanici, i quali vengono esaltati portando in scena i protagonisti della reconquista castigliana, miti ed episodi storico-leggendari dell'antica Spagna, ma anche le gesta eroiche dei deboli e dei subalterni. Oltre alla straordinaria facilità inventiva, la critica posteriore ha riconosciuto a Lope de V. un'importante funzione di riformatore del dramma cinquecentesco: le innovazioni sceniche da lui introdotte e teorizzate nel trattato in versi La nuova arte di far commedie (1609) avevano sconvolto i precetti aristotelici e la tradizione scenica precedente (tre atti invece dei tradizionali cinque, una messa in scena vincolata alla verosimiglianza piuttosto che l'osservanza incondizionata delle unità aristoteliche). Talvolta il gusto del poeta per l'azione e per l'intreccio (enredo) prende però il sopravvento sull'indagine psicologica dei personaggi. Le migliori commedie sono quelle desunte dalla tradizione spagnola, ambientate per lo più in villaggi nell'epoca medioevale: Fuenteovejuna (1612-14), Peribáñez e il commendatore di Ocaña (1613), Il villano nel suo cantuccio (1614-15), Il miglior giudice è il re (1620-23), Il cavaliere di Olmedo (1620-25). Tra le commedie di ambiente non spagnolo va ricordata Il castigo senza vendetta (1631), mentre tra quelle di argomento amoroso, sempre concluse con un lieto fine, spicca L'acciaio di Madrid (1608-12). Tra le commedie pastorali e mitologiche la più nota è Il marito più costante (1625), basata sul mito di Orfeo ed Euridice. La produzione di argomento religioso comprende sia commedie, come La nascita di Cristo (postumo, 1641), sia autos, tra cui L'adultera perdonata e La mietitura. Le sue Comedias furono pubblicate in 25 volumi (1603-47), di cui alcuni, dal IX al XX, curati dall'autore stesso. Non vi sono praticamente generi letterari in cui il poeta non si sia cimentato, spesso con altissimi esiti artistici. Oltre che per il teatro, infatti, Lope de. V. scrisse i romanzi pastorali L'Arcadia (1589) e i Pastori di Betlemme (1612) e alcune opere in prosa, tra le quali La Dorotea (1632), scoperta autobiografia del suo amore con Elena Osorio. Straordinariamente versatile, Lope de V. compose anche vari poemi, a imitazione di Ariosto e di Tasso ma con temi e formule originali, come il poema eroico La Dragontea (1598) che narra le avventure del corsaro inglese Drake, il poema cavalleresco La bellezza di Angelica (1602) sugli amori di Angelica e Medoro, il poema epico La Gerusalemme conquistata (1609), il poema burlesco La gattomachia. Considerato uno dei maggiori poeti del suo tempo insieme a Góngora e F.G. Quevedo, espresse nei componimenti lirici e nei sonetti (Rime, 1604; Rime sacre, 1614) i suoi sentimenti amorosi e religiosi in modo sincero e appassionato. Figura centrale del secolo d'oro spagnolo e prototipo di un'epoca e di un gusto, Lope de V. condizionò il modo di scrivere per il teatro almeno fino all'avvento di un'altra personalità d'eccezione come Calderón de la Barca, massimo rappresentante della fase più compiuta del Barocco teatrale (Madrid 1562-1635).

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Sinonimi

capriccioso

(agg. Che fa i capricci), bizzarro, irragionevole, strambo, volubile.

(agg.), eccentrico, estroso, originale.

(agg.), balordo, instabile, mutevole.

Svenévole.

Che ha un atteggiamento languido, tipico di chi sta per svenire; sdolcinato. ║ Di atto, modo o atteggiamento lezioso, sdolcinato, fiacco.

Scena.

(dal latino scaena, der. del greco skené: tenda, fondale del palcoscenico). Parte del teatro dove agiscono gli attori, costituita da una piattaforma sopraelevata delimitata dalla ribalta e dagli elementi che costituiscono la scenografia; comunica con il retro del palcoscenico mediante i passaggi laterali fra le quinte e quelli nella parete mobile di fondo. ║ Fuori s. o fuoriscena: detto in riferimento a un'azione che, durante la rappresentazione, si finge svolgersi fuori dal palcoscenico. ║ S. aperta: quella priva di sipario. ║ Applausi a s. aperta: quelli che intervengono non alla fine di un atto o dello spettacolo, ma durante la rappresentazione stessa. ║ S. multipla: quella composta di vari ambienti (tutti ugualmente visibili dallo spettatore) nei quali può muoversi l'azione. ║ S. vuota, piena: detto a seconda che siano o meno presenti gli attori, sia per esigenze di copione sia per un'entrata ritardata o un'uscita anticipata degli stessi. ║ Per metonimia, il termine è passato ad indicare l'azione scenica, l'attività teatrale e il mestiere di attore; per traslato, anche altri generi di attività. ║ Andare in s.: detto di lavoro teatrale di cui si comincino le rappresentazioni. ║ Calcare le s.: recitare, cantare o ballare in teatro. ║ Per estens. - Calcare le s.: fare l'attore, il cantante o il ballerino. ║ Darsi alle s.: decidere di dedicarsi per professione all'attività teatrale. ║ Ritirarsi dalle s.: abbandonare la carriera teatrale. ║ Fig. - Ritirarsi dalla s. politica: abbandonare tale attività. ║ Entrare in s.: detto dell'attore che deve uscire sul palcoscenico a recitare. ║ Fig. - Entrare in s.: detto di persone o cose che, in una determinata situazione, assumono un ruolo di primo piano. ║ Essere di s.: detto dell'attore che vi deve comparire. ║ Fig. - Essere di s.: avere un ruolo importante, essere molto noto in un'attività. ║ Mettere in s. una commedia: allestirne la rappresentazione. ║ Le s.: i teatri. ║ Azione, comportamento dei personaggi sulla s.Avere presenza di s.: essere disinvolto nel recitare. ║ Fare s.: possedere le capacità di dominare l'attenzione e l'interesse degli spettatori. ║ Fig. - Fare s.: esibirsi allo scopo di stupire o muovere a pietà. ║ Muoversi bene sulla s.: recitare con naturalezza e convinzione. ║ S. muta: quella nel corso della quale i personaggi non parlano. ║ Fig. - Fare s. muta: non riuscire a pronunciare parola, specie nel corso di interrogazioni o esami. ║ Insieme degli elementi scenografici (quinte, fondali, ecc.), fissi o montati sul palcoscenico, plastici o dipinti, utilizzati per raffigurare l'ambiente in cui deve aver luogo l'azione. ║ Cambiamento di s.: sostituzione, all'interno di una rappresentazione, di alcuni o di tutti gli elementi scenografici. ║ Fig. - Cambiamento di s.: cambiamento improvviso e radicale di cose o persone. ║ Cambiamento di s. a vista: quella che avviene nel corso della recitazione stessa e sotto gli occhi degli spettatori, senza calare il sipario o spegnere le luci. ║ Luogo in cui avviene o si finge avvenuta l'azione teatrale. ║ Uno dei diversi avvenimenti che si susseguono in un'opera teatrale, in un film, in uno spettacolo in generale. ║ Colpo di s.: avvenimento inatteso e drammatico, in seguito al quale l'azione scenica assume un nuovo sviluppo. ║ Fig. - Colpo di s.: avvenimento improvviso che provoca cambiamenti radicali e inaspettati. ║ S. madre: quella più importante dell'intera rappresentazione. ║ Fig. - S. madre: il momento in cui si raggiunge l'acme di un litigio, di una scenata. ║ Ciascuna delle parti di cui è composto un atto, formata da una serie di dialoghi e monologhi e nella quale sono presenti sulla s. un numero determinato di attori. ║ Spettacolo naturale, fatto, situazione o momento della vita reale fatto oggetto di rappresentazioni artistiche o contemplato come se fosse uno spettacolo teatrale. ║ Attività, vita umana. ║ Specie al plurale, dimostrazione, per lo più ostentata, insincera e sfrontata, di sentimenti o passioni. • Teat. - Regolatore di s. o regolatore di palcoscenico: apparecchio presente nei teatri per graduare l'intensità dell'illuminazione e per inserire o sostituire gli schermi colorati delle luci da palcoscenico. ║ Direttore di s.: chi dirige la rappresentazione sulla base delle indicazioni del regista. ║ Servi di s.: nel teatro rinascimentale, i macchinisti deputati al funzionamento del palcoscenico e allo smontaggio delle strutture rispettivamente nel corso delle rappresentazioni e al termine della stessa. • Mus. - Musiche di s.: brani di musica, strumentale o vocale-strumentale, che accompagnavano in determinati momenti gli spettacoli in prosa, specie i misteri medioevali, le commedie rinascimentali e le favole pastorali. Cronologicamente antecedenti al melodramma, in Italia caddero in disuso proprio in seguito all'avvento di quest'ultimo (XVII sec.); continuarono a persistere, invece, in Inghilterra e in Francia. Nel corso del Settecento si dedicarono alla composizione di musiche di s., fra gli altri, G.F. Haendel, F.J. Haydn e W.A. Mozart, mentre risalgono al secolo successivo musiche celebri come quelle di L. van Beethoven per l'Egmont di Goethe, di F. Mendelssohn-Bartholdy per A midsummer night's dream di Shakespeare, di G. Bizet per L'Arlésienne di A. Daudet, di E.H. Grieg per Peer Gynt di Ibsen. Nel XX sec. si distinsero nel genere R. Vlad, G. Negri, F. Carpi e G. Carnini. • Psicol. - S. primaria o originaria: termine introdotto in psicanalisi da Freud per indicare l'esperienza del bambino che, in tenera età, assista a rapporti sessuali fra i genitori o fra due adulti. Già abbozzata negli Studi sull'isteria (1895) e nell'Interpretazione dei sogni (1899), la nozione fu definita nella sua completezza nel Caso clinico dell'uomo dei lupi (1914), nel quale è sottolineato l'aspetto traumatico: il bambino non è infatti in grado di comprendere l'atto dei genitori che, anzi, tende a interpretare come azione violenta da parte del padre ai danni della madre. Benché rimossa, l'angoscia vissuta dal bambino tende a riapparire, variamente deformata, in sogni, sintomi e fantasie, provocando talvolta anche crisi notturne con allucinazioni.

Barocco.

Movimento artistico-letterario sviluppatosi dalla seconda metà del Cinquecento alla fine del Seicento. ║ Come aggettivo: relativo a tale periodo. ║ Spreg. - Bizzarro, oscuro, contorto. ║ Origine del termine: b. nella filosofia scolastica indicava una tra le figure più ambigue del sillogismo, a causa del contrasto tra la corretta logica formale dell'assunto e la effettiva inconsistenza del contenuto. Nella lingua italiana si registra a partire dal XVI sec., riferito a qualsiasi forma di ragionamento contorta e ingannatrice. Altri studiosi hanno però dato una interpretazione differente dell'origine del nome. A partire da W. Weisbach, ad esempio, fin dal 1921 si è supposta la derivazione dall'aggettivo baroque francese, a sua volta proveniente dallo spagnolo barroco e dal portoghese barucco, presente nel Dizionario dell'Accademia del 1694, a indicare una perla di forma irregolare. Il termine risulta in seguito registrato nel Dictionnaire des Trevoux col significato di irregolare, bizzarro ed esteso alla pittura nella quale indica una figura costruita nel mancato rispetto delle regole classiche e a capriccio dell'autore. Complesso è il campo di applicazione del vocabolo. Il termine è talvolta usato a indicare elementi peculiari dell'arte del Seicento, talora invece è esteso anche a manifestazioni artistiche del tardo Cinquecento (Manierismo) o del primo Settecento (Arcadia). Successivamente si è iniziato a usare la parola estendendola più in generale alla cultura del secolo, e alle manifestazioni letterarie e musicali. Recentemente inoltre si sono messi in rilievo elementi secenteschi che non rientrano però nel movimento b. Alcuni studiosi, per lo più storici dell'arte, propendono per limitare l'uso del termine a un ben delimitato momento dell'arte del Seicento: altri, prevalentemente letterati, sono maggiormente inclini a un uso più vasto e ad estendere il vocabolo a tutta la produzione letteraria del XVII sec. Applicato alle arti figurative il termine appare nella seconda metà del Settecento, usato per la prima volta da F. Milizia che utilizzò il sostantivo nell'accezione ampia dell'aggettivo francese riprendendo probabilmente il termine da Winckelmann. Nel corso del Settecento l'opposizione secentesca si esplica nella critica di alcuni artisti romani accusati di aver sovvertito le regole classiche (ad esempio, Bettinelli accusò Caravaggio e Bernini di aver ricercato a tutti i costi il bizzarro). Dai teorici neoclassici alla storiografia, ancora per tutto il XIX sec. predomina l'accezione negativa del termine, sinonimo di stravaganza e di sovvertimento delle regole. Solo alla fine del Novecento e contemporaneamente al diffondersi dell'estetica wagneriana, al riconoscimento di una estetica ellenistica autonoma da quella classica, si inizia una rivalutazione del termine. Prendendo lo spunto da Burckardt che scorgeva nel B. la maturazione del Rinascimento, Gurlitt e soprattutto Wolfflin elaborano una nuova concezione della parola. In particolar modo Wolfflin si oppone alla concezione del B. come periodo di decadenza e, riconoscendone il valore positivo, ne definisce le peculiarità come stile. Successivamente Wolfflin elabora l'idea di una evoluzione da uno stile a un altro in Concetti fondamentali di storia dell'arte, dove si scorge l'idea di una interpretazione metastorica del vocabolo, come categoria estetica assoluta. In Italia alla fine dell'Ottocento si registra un momento di riesame del termine con E. Nencioni (Barocchismo, 1984) e con B. Croce (Saggi sulla letteratura del Seicento, 1911), che in seguito ritorna però sulle sue posizioni di aspra critica denunciando non solo la decadenza dell'arte ma anche quella morale e storica del periodo (Storia dell'età barocca in Italia, 1929). La critica del Novecento si muove in due direzioni: da un lato ampliando l'idea di una categoria metastorica, dall'altro cercando di limitare invece storicamente il periodo. È soprattutto E. D'Ors a elaborare nella forma più meticolosa tutta una serie di b. nel corso delle epoche storiche. Tra gli studiosi che invece hanno cercato di individuare il B. in riferimento a precise circostanze storiche si possono menzionare W. Weisbach (Il Barocco come arte della Controriforma, 1921); P. Pevsner (Pittura barocca nei Paesi neolatini, 1928), V.L. Tapiè (Il Barocco, 1961) e A. Grisieri (Le metamorfosi del Barocco, 1967). Ognuno di essi ha tentato di applicare il termine a determinate situazioni ottenendo esiti differenti: rimane tuttora la difficoltà di trovare un comune denominatore a esperienze tanto differenti. Alcuni studiosi come G. Briganti hanno trovato una possibile soluzione nel ritorno a una accezione più ristretta del termine e, in sostanza, al significato datogli dai primi teorici del Neoclassicismo. Il B. diventerebbe così una delle facce del Seicento e l'arte b. uno degli aspetti dell'arte di questo secolo. ║ Politica e società: il Seicento si caratterizza per l'assoluto predominio spagnolo e per l'azione della Controriforma, tanto che spesso si fa coincidere quest'ultima con il B. stesso. Importante per lo sviluppo del movimento è inoltre il cambiamento della classe egemone, non più la borghesia mercantile ma una nobiltà di corte; tale mutamento spiega un aspetto particolare del B., ovverosia la sua ricerca di un lusso formale metaforico lontano dal senso di misura delle corti rinascimentali. • Lett. - Molti elementi della letteratura b. sono vicini alla sfera artistica. Alla decorazione b. corrisponde la ricerca di ornamenti letterari; alla tendenza a variare le forme, a contorcere le colonne, i capitelli, i timpani, fa riscontro la tendenza a perfezionare i modelli classici. La presenza di elementi macabri e lascivi e la ricerca di effetti attraverso l'uso di figure retoriche richiama la ricerca di effetti scenografici del teatro. In particolar modo sia l'arte che la letteratura mirano all'illusione, alla sorpresa. Anche in letteratura è presente la commistione fra le arti: si mescolano generi differenti e toni stilistici; la stessa poesia ricerca soluzioni che la avvicinano alla pittura, oppure effetti sonori con il variare dei metri. È soprattutto nel melodramma che la poesia raggiunge il massimo della commistione fra le arti e non a caso il luogo prediletto è il palcoscenico. Vi è nell'arte b. la ricerca dello spettacolo, la vocazione alla teatralità: si può dire che il teatro è presente anche quando, in effetti, manchi la rappresentazione vera e propria. Esso è presente nel gusto degli effetti scenico - oratori, nell'uso costante di arguzie che camuffano ogni cosa come se tutta la vita fosse una metafora. È da notare che, per quanto riguarda il B. letterario, manca un centro di diffusione principale. In particolar modo la letteratura italiana non occupa un ruolo centrale anche se, d'altra parte, sarebbe impensabile il fiorire della poesia b. senza l'apporto italiano. Il B. nasce come sviluppo e opposizione al Rinascimento che è, all'origine, preponderantemente un fenomeno italiano, ma che, nella seconda metà del Cinquecento, si presenta ormai come fatto europeo. Sottolineare il nesso tra B. e Rinascimento serve a comprendere il carattere sopranazionale del fenomeno e in particolar modo a individuare alcune caratteristiche peculiari del B. italiano. Fuori d'Italia in particolar modo le forme rinascimentali e b. si uniscono e si confondono, mentre in Italia le forme prebarocche sono già individuabili come tali: molte discussioni letterarie già nel secondo Cinquecento confermano nei letterati italiani la consapevolezza del nuovo che si annuncia. Questa coscienza, per quanto non sia sempre positiva, conferisce al B. italiano una sua peculiarità ed eccezionalità: è in Italia, infatti, che assume rilievo fondamentale la trattatistica. Per la comprensione della letteratura b. fondamentale è il riferimento al concettismo, all'acutezza. Gli stessi trattatisti del Seicento parlano di aguteza, di pointe, di wit, il che ci fa capire come il B. fosse quindi fin dall'inizio una poetica consapevole e non sia solo una periodizzazione a posteriori. La ricerca dell'acutezza va spiegata in relazione a un profondo mutamento che sta alla base della poetica b.: la negazione dell'ideale platonico del bello ideale, di una regola universale eternamente valida. È questa un mutamento del pensiero, che determina una profonda crisi e la convinzione che arte e poesia non debbano più imitare l'ideale, ma la natura. In questa fase non si è ancora al B., ma si è vicini ad esso: la poesia, se non è il reale, ricerca il verosimile. E nella società b. si esalta proprio la tecnica di rappresentare il verosimile. La aguteza non è solo il modo in cui più palesemente si manifesta il B. ma è anche il chiarimento della sua visione estetica: una poesia come finzione e come compiacimento dell'illusione stessa, e nella quale risulta considerato l'aspetto conoscitivo. Ma c'è la possibilità di un ulteriore sviluppo dell'aguteza. Se la poesia si compiace dell'illusione, è perché tutto il mondo è illusione. Il sorriso del poeta che emerge dal concetto diventa il riso disincantato di colui che scopre l'aspetto bizzarro del reale. È questo il momento più profondo del B., che rivela un disagio esistenziale: l'affermazione della vanità dei valori umani e l'accettazione della verità delle strutture ecclesiastiche. Il punto di rottura dal Rinascimento al B. è dato dalla Gerusalemme liberata del Tasso. La controversia dura fino alla metà del '600, segnando un periodo caratterizzato da una intensa produzione teorica normativa, oscillante tra una estetica pedagogica e una estetica edonistica. Nella querelle tra gli antichi e i moderni, Marino si schiera apertamente dalla parte di questi ultimi in nome anche di un nuovo ruolo affidato al poeta. Non mancano certo elementi di continuità con la tradizione rinascimentale: in particolar modo in Galileo, in Campanella, in Giordano Bruno; dello scienziato pisano, rimane lo stile alieno dalle stravaganze b. e caratterizzato invece da un notevole rigore e controllo formale. Si diffonde però ben presto una prosa italiana molto più vicina alla prosa b. (Tesauro, Boccalini, Tassoni, Zuccolo, Accetto, Paruta, Botero, Redi e Magalotti). Non mancano contraddizioni nella produzione letteraria del Seicento, quali ad esempio la presunta libertà formale nei confronti delle trattazioni teoriche e precettistiche. La ricerca di inventività si concretizza nel romanzo, così come, legata al gusto per la bizzarria, si diffonde la letteratura dialettale (Basile). La letteratura b. spagnola si articola in due filoni: concettismo e culteranesimo. Maggiore esponente del concettismo fu Quevedo, mentre del culteranesimo fu Góngora. Il B. si caratterizza anche per il realismo: il reale vien osservato e analizzato minuziosamente per contrapporlo alla visione idealizzata del mondo, cosa che crea una sorta di satira nel mondo irreale. Il motivo della riduzione del mondo a vacuo fantasma è proprio dell'opera di Calderón de la Barca mentre il realismo domina nell'opera di Lope de Vega. In Francia non si ha una vera e propria diffusione del B., dominata come era la cultura dal classicismo del secolo di Luigi XIV. Anche in Francia, in coincidenza con le guerre di religione e con il declino delle forme italianeggianti, si ha però un momento b., rappresentato soprattutto dai poeti religiosi del protestantesimo (Du Bartas, D'Aubigné) e dai libertini (Saint-Amain). Vanno poi ricordati D'Urfé, che nel romanzo ricerca lo sperimentalismo stilistico, e Scarron col suo esasperato realismo. Anche nel teatro di Corneille, nel modo enfatico di presentare il classicismo, si può intravedere una volontà di sperimentazione b. Più vicino ai canoni del B. fu poi il preziosismo. In Inghilterra domina la figura di Shakespeare. Se la figura del poeta inglese si riallaccia al Rinascimento in molte opere si scorgono tematiche proprie del B., quali il conflitto tra individuo e società e potere, il rapporto dell'uomo col cosmo e con il reale. Specificatamente b., poi, sono le espressioni dei poeti religiosi. Un aspetto considerevole del B. è dato dal teatro. Sulla scena si prediligono le situazioni altamente drammatiche, le tinte fosche, le passioni violente, gli effetti sorprendenti: il tutto per raggiungere quella meraviglia che deve stupire (tipiche opere sono Ermenegildo di E. Tesauro, lo Scedase di A. Hardy, il Charitè di Poullet, la Machabée di Virey du Gravier e Saint Vincent di Boissin de Gallardon). • Arch. - La crisi estetica del Manierismo e quella politica e religiosa della Controriforma portano a una radicale critica dei modelli classici e delle regole, e alla ricerca di nuovi strumenti espressivi. In architettura si ricerca il dinamismo, una sorta di interazione tra i volumi e gli spazi interni ed esterni; si dà spazio al rapporto dinamico della statua con l'ambiente; si combinano insieme materiali diversi; si ricercano gli effetti di luce, luce non più intesa come lume chiaro e assoluto ma come raggio infinito che irrompe e che anima le superfici. Fenomeno ampio e difficilmente catalogabile il B. può essere diviso in tre grandi correnti artistiche: quella naturalistica scenografica propria dell'Italia e della Spagna, quella più fedele ai canoni rinascimentali quale quella sviluppata in Francia, Inghilterra e Olanda; e quella del caravaggismo in parte apparentemente lontana dalla estetica b., ma il cui naturalismo ci riconduce a quella ricerca sulla natura oltre i modelli classici, che è in parte l'origine del nuovo stile. In Italia il B. si sviluppa principalmente a Roma. Sotto il pontificato di Urbano VIII (1623-44), Roma assume progressivamente un volto b. Bernini scolpisce la Santa Bibiana e il Longino: viene innalzato il baldacchino di S. Pietro a cui collabora anche Borromini; Lanfranco affresca la cupola a Sant'Andrea della Valle; Cortona affresca la volta grande del Palazzo Barberini. Negli anni successivi l'aspetto b. diventa prorompente: Borromini realizza il San Carlino alle Quattro Fontane, Sant'Ivo alla Sapienza, l'Oratorio dei Filippini, Sant'Agnese in Piazza Navona; Bernini il colonnato di piazza S. Pietro. Alla costruzione di un volto b. contribuiscono artisti quali Fontana, Fuga, Filippo Raguzzini, Nicola Salvini. Urbanisticamente vennero ripresi alcuni progetti già iniziati sotto Sisto V, con l'apertura di rettifili a collegare le zone monumentali della città e a creare una sorta di scenografia. Ciò che unisce gli artisti romani è la ricerca di dare forma agli aspetti mutevoli e di movimento del reale. Le linee si incurvano, le colonne si attorcigliano, le facciate si ondulano in modo da accordarsi con la scena urbana e nello stesso tempo conservare il collegamento con l'interno dell'edificio. Se gli architetti del Cinquecento avevano prediletto due forme ben distinte di piante (la pianta centrale e quella longitudinale), ora gli architetti preferiscono la pianta ellittica di cui scoprono le possibilità scenografiche e illusionistiche. Il prestigio della cultura romana favorì l'irradiarsi della cultura romana. Nell'Italia settentrionale, la Torino di Carlo Emanuele II e di Vittorio Amedeo è luogo di grandi elaborazioni b., in particolar modo nelle figure di G. Guarini e di F. Juvarra la cui arte condiziona l'operato di B. Vittone e B. Alfieri: il primo realizza la chiesa di San Lorenzo, la cappella della Sacra Sindone e il Palazzo Carignano; il secondo è l'autore della basilica di Superga, del Palazzo Madama e del casinò di caccia di Stupinigi. A Genova gli interventi urbanistici di B. Bianco si rifanno alla attività cinquecentesca, ma ormai b. è la ricerca scenografica delle soluzioni. Meno permeabili alla sensibilità b. sono gli ambienti milanesi lombardi e veneti: a Milano si può citare la ripresa in forme più mosse da parte di Richini del linguaggio del Tibaldi. Venezia rimane fedele agli ideali classici e alcune opere di Longhena quali la facciata di San Moisè e di Santa Maria Zebenigo vanno considerate più come il frutto di uno sperimentalismo decorativo che non forme di un nuovo linguaggio b. Lo stesso dicasi per Firenze dove scarsa eco ha l'opera di Cortona a Palazzo Pitti, e solo un vago sentore b. si coglie nella decorazione di Foggini in San Lorenzo. L'Italia meridionale raccoglie maggiormente la nuova corrente: a Napoli con l'attività di Fanzago, Lanfranco, Solimena; a Lecce e in Sicilia. In Spagna a partire da Filippo II in architettura si assiste a un uso sempre più frequente di colonne tortili, di flessioni delle mura, al moltiplicarsi di episodi decorativi, ad opera di architetti come F. Bautista (chiese di S. Isidoro a Madrid e di san Juán a Toledo), di J. Gómez de Mora, autore del Noviziato dei Gesuiti di Salamanca e della Plaza Mayor di Madrid e di Pedro de Ribeira (chiesa de la Virgera del Puerot a Madrid). Una intensificazione degli elementi b. (decorativismi, sovrapporsi di colonne, cornici mistilinee) si realizza a fine Seicento con le opere di Churriguera a Madrid e Salamanca (Retablo de San Estebán), con quelle di Narciso Tomé (facciata della cattedrale di Salamanca) e con quelle di Ribeira (portale dell'Hospicio de S. Ferdinando a Madrid). Dalla Spagna il B. si diffonde poi in Sicilia e nelle colonie americane: in Messico, in Brasile, importato dai religiosi degli ordini monastici. In Germania il soggiorno di alcuni artisti romani facilita la penetrazione del gusto b. che si scontra però con la influenza e opposizione dell'arte francese. Superamento degli ordini rinascimentali, continuità tra gli elementi decorativi, stucchi policromi caratterizzano l'opera di artisti come J.B. Neumann (cappella di Bruchsal, santuario di Vierzehnheiligen, residenza vescovile di Würzburg), dei Dientzenhofer (chiesa dei Gesuiti e convento di San Martino a Bamberga; duomo di Fulda), di J. Prandtauer (conventi di Melk e di Sankt Florian), dei fratelli Asam (chiese di Weltenburg e di San Giovanni Napomuceno a Monaco), di D. Zimmermann (chiese di Pellegrinaggio di Steinhausen e della Wiess). Nelle Fiandre lo sviluppo di un'arte b. rimane sostanzialmente legato al prestigio di Rubens. In Francia si ha invece una forte reazione al B. Domina piuttosto un classicismo certamente ben lontano dal classicismo rinascimentale, monumentale ed enfatico, lontano quindi dagli ideali della tradizione classica, ma nello stesso tempo, polemico nei confronti delle soluzioni più eterodosse italiane. Tra le fabbriche si ricordano le grandi costruzioni di Versailles, del Louvre, degli Invalides nelle quali l'iterazione di stilemi classici (le colonne, i frontoni, le metope) ottengono un effetto altrettanto retorico quanto quello realizzato dalle soluzioni italiane. In Francia si sviluppa inoltre una corrente vicina alla scuola carraccesca (decorazioni degli interni di Versailles ad opera di Le Brun), alla quale si può accostare anche l'attività di Poussin. In Inghilterra è difficile individuare una corrente b.: al Neopalladianesimo di Inigo Jones si affiancò lo studio di Ch. Wren che, estraendo dalle forme classiche effetti insoliti crea opere che potremmo definire b. quale la cattedrale di S. Paolo. • Mus. - L'aggettivo b. applicato alla musica appare nel 1920, in un periodo in cui appariva ormai superato il significato negativo del nome e se ne indicava invece un particolare stile, sorto in un preciso momento storico e con caratteristiche precise. Le caratteristiche del nuovo stile sono la polarizzazione sulle voci estreme, l'avvento del basso continuo, lo sviluppo della monodia e dell'armonia. Ancora agli inizi del Seicento e fino al 1630 perdura l'uso cosiddetto antico, cioè la tradizione polifonica fiamminga, tramandata in linea diretta dalle due scuole principali, quella romana e quella veneziana. Successivamente si sviluppa lo stile concertato o moderno. Opponendosi al concetto di armonia come omogeneità la scuola veneziana elabora un nuovo stile, dove si spezza la monotonia della polifonia fiamminga attraverso l'uso dei contrasti e dei timbri, il tutto accompagnato da un accompagnamento cordale (basso seguente e poi basso continuo). Il concertato mira a realizzare la varietà nell'unità. Si precisa inoltre lo stile monodico sviluppatosi dalla Camerata dei Bardi. Esso si realizza in tutte le sue potenzialità nel melodramma. Durante tutto il Seicento il melodramma, nato come fase intermedia tra il cantare e il recitare (il recitar cantando), si evolve e, modificando il rapporto tra poeta, scrittore del libretto, scenografo e musicista, giunge a far primeggiare la musica sul testo. Già nel 1630 con Landi, Mazzocchi, Marazzoli, Rossi si avverte la noia per il recitativo e la necessità di alleviarlo con arie e scene di massa. Il bel canto della scuola veneziana passa da Monteverdi a Cesti a Cavalli, unito alle esperienze della musica strumentale, conquista i palcoscenici e giunge alla stilizzazione formale propria del melodramma settecentesco con l'opera di Alessandro Scarlatti. Sempre nel Seicento si afferma anche una musica puramente strumentale all'inizio così varia da non potere essere catalogata, e la cui caratteristica principale è la ricerca della massima libertà costruttrice. Successivamente la penetrazione del pensiero razionalista porta a un processo di chiarificazione e al passaggio dal primo B. a uno stile internazionale e al grande B. di Vivaldi, Bach e Haendel. In Inghilterra si prolungano modelli stilistici che non corrispondono al nuovo clima culturale. Il tardivo e non completo assorbimento della musica rinascimentale fa sì che maggiore sia l'impulso della classe borghese a un nuovo genere e più rapido il travolgimento delle forme cinquecentesche. Le nuove forme, lontane dal brio e dalla festosità di quelle italiane, diventano esperienze ad esse complementari e indispensabili per lo sviluppo della musica settecentesca. In particolare modo, la musica per liuto e per strumenti a tastiera prende spunto dalla musica popolare; in seguito il crescente divario tra classi colte e popolari induce alla ricerca di una maggiore autonomia ottenuta con la stilizzazione e l'astrazione di procedimenti tipicamente strumentali. Interessante è l'opera di J. Bull e Th. Tomkins, i quali elaborano l'opera di J.P. Sweelinck che crea un linguaggio musicale proprio, rielaborando quello italiano e quello inglese, e dando vita a uno stile che influenza l'opera di Bach. Scarsa è del resto la penetrazione del melodramma: il masque fiorito nell'Inghilterra di Giacomo I e Carlo I non è sufficiente a creare un teatro musicale autonomo forse condizionato dallo strapotere del teatro di prosa. Questa situazione condiziona anche l'opera di uno dei maggiori musicisti dell'epoca H. Purcell, isolata figura creatrice di un linguaggio non completamente compreso e che solo in parte nel Settecento verrà ripreso da Handel. In Germania i principali modi di passaggio dalla musica rinascimentale a quella b. sono da ricercarsi nella musica sacra e organistica. La frattura tra protestanti e cattolici si ripercuote anche nella musica. In genere i musicisti del Sud si rifanno all'esperienza italiana, mentre quelli del Nord tendono a imporre uno stile nuovo nordico. Nella letteratura per strumenti a tastiera si assiste anche a una convivenza: S. Scheidt si fa promotore dello stile nordico, mentre J.J. Froberger l'arricchisce del motivo italiano. Rispetto ad altri organisti francesi in seguito orientatisi più verso forme indipendenti, la scuola tedesca si caratterizza per questa duplice presenza dell'elemento autoctono e di quello extranazionale. È inoltre da osservare come in Germania fosse assicurato il contatto tra la musica dotta e la tradizione popolare: in particolare si diffondono capillarmente gruppi vocali in università e chiese che contribuiscono a tenere vivo questo rapporto. In Francia il nuovo gusto non si afferma in coincidenza anche con una situazione politico-sociale particolare, nella quale non è necessario affermare il potere assoluto per mezzo dell'arte. È proprio in Francia del resto che si avvertono i primi segni di decadenza del genere musicale b. con elementi rococò, nell'opera di Couperin. Ancora fino al 1750 però convivono forme b. con le proposte innovatrici di G.Ph. Telemann e di Domenico Scarlatti.
PROTAGONISTI E CAPOLAVORI DEL BAROCCO EUROPEO
Italia
A. CARRACCI (1560-1609)
Affreschi nella Galleria di Palazzo Farnese (Roma)
CARAVAGGIO (1571-1610)
Riposo nella fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria-Pamphili).
Vocazione di San Matteo (Roma, San Luigi dei Francesi).
G. RENI (1575-1642)
Strage degli innocenti (Bologna, Pinacoteca Nazionale).
GUERCINO (1591-1666)
L’aurora (Roma, Casino Ludovisi).
G. RIBERA detto LO SPAGNOLETTO (1591-1652)
Martirio di San Bartolomeo (Madrid, Prado).
F. FUGA (1699-1781)
Cortile della Consulta (Roma).
L. GIORDANO (1634-1705)
Affreschi nella Galleria di Palazzo Medici-Riccardi (Firenze).
B. STROZZI (1581-1644)
Elemosina di San Lorenzo (Venezia, San Nicolò dei Tolentini).
G.B. CRESPI detto IL CERANO (1567-1632)
Il beato Carlo visita gli appestati (Milano, Duomo).
P. DA CORTONA (1596-1669)
Gloria della famiglia Barberini (Roma, Palazzo Barberini).
Trionfo della Divina Provvidenza (Roma, Palazzo Barberini).
A. POZZO (1642-1709)
Affresco con la Gloria di Sant’Ignazio (Roma, Sant’Ignazio).
L. BINAGO (1554-1629)
Chiesa di Sant’Alessandro (Milano).
S. MADERNO (1576-1636)
Santa Cecilia (Roma, Santa Cecilia in Trastevere).
F. MOCHI
Statua equestre di Alessandro Farnese (Piacenza, Piazza Cavalli).
G.L. BERNINI (1598-1680)
Colonnato di San Pietro (Roma).
Baldacchino sulla tomba di San Pietro (Roma, San Pietro).
Apollo e Dafne (Roma, Galleria Borghese)
F. BORROMINI (1599-1667)
Chiesa di San Carlino alle Quattro Fontane (Roma).
Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza (Roma).
B. LONGHENA (1598-1682)
Chiesa della Salute (Venezia).
G. GUARINI (1524-1683)
Cappella della Sacra Sindone (Torino, Duomo).
Chiesa di San Lorenzo (Torino).
Spagna
D. VELÁZQUEZ (1599-1660)
Damigelle d’onore (Madrid, Prado).
F. ZURBARÁN (1598-1664)
Decorazione del salone dei Regni (Madrid, Palazzo del Buen Retiro).
B.E. MURILLO (1618-1682)
Apparizione della Vergine e Sant’Ildefonso (Madird, Prado).
N. TOMÉ (1690-1742)
Il Transparente (Toledo, Cattedrale).
Austria e Germania
J. PRANDTAUER (1660-1726)
Abbazia dei Benedettini (Melk).

Monastero degli Agostiniani (Sankt Florian).
J.B. FISCHER VON ERLACH (1656-1723)
Biblioteca di corte (Vienna)

Chiesa di San Carlo Borromeo (Vienna)

Chiesa della Trinità e Collegiata di Nostra Signora (Salisburgo).
J.B. NEUMANN (1687-1753)
Santuario dei Vierzehnheiligen.

Cappella della residenza (Würzburg).
Francia
G. DE LA TOUR (1593-1652)
San Sebastiano (Grenoble)
F. POURBUS IL GIOVANE (1569-1622)
Enrico IV re di Francia (Parigi, Louvre).
S. VOUET (1590-1649)
La tentazione di San Francesco (Roma, San Lorenzo in Lucina).
L. LE NAIN (1593-1648)
Pasto dei contadini (Parigi, Louvre).
N. POUSSIN (1594-1665)
Il ritratto delle Sabine (New York, Metropolitan Museum).
Russia
B. RASTRELLI (1700-1771)
Monastero (Smol’nyi).

Palazzo d’Inverno (Pietroburgo).
Inghilterra
C. WREN (1632-1723)
Cattedrale di San Paolo (Londra).
Fiandre e Olanda
P.P. RUBENS (1577-1640)
REMBRANDT (1606-1669)
Adorazione dei magi (Madrid, Prado).
Ronda di notte (Amsterdam, Rijkksmuseum).

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